X Change / 0° a 5000 mt
testo di Gigliola Foschi
Una mostra per riflettere sui cambiamenti climatici e sul nostro sempre più problematico rapporto con la Terra. Si sente ripetere spesso che la temperatura media del nostro Pianeta è già salita di 1 grado centigrado, e che, se mai dovesse superare la soglia limite dei 2 gradi, faremmo i conti con città sommerse dall’acqua, campi e foreste in balia del deserto e altri scenari catastrofici. Ma siamo sicuri che qualcosa di grave non sia già avvenuto? C’è da preoccuparsi solo per un incerto futuro a venire? No: molto, purtroppo, è già accaduto e sta accadendo – come testimoniano i lavori dei tre autori proposti dalla galleria AMY D Arte Spazio. E la fotografia, si sa, magari può mentire, ma di certo riesce a raccontare solo l’oggi o il passato più o meno lontano, mentre si trova in evidente difficoltà nell’evocare il futuro (a meno che non si ricorra all’uso massiccio di photoshop – ma non è il caso dei nostri tre autori). E’ alla fotografia, comunque, che spetterebbe il nobile compito di rendere visibili i drammi o i problemi reali che si celano dietro freddi dati statistici: un compito accolto appieno da Beba Stoppani, Edoardo Miola e Daesung Lee, uniti in nome dell’ascolto della Terra e in sua difesa, anche se diversissimi tra loro per i temi affrontati e il modo di raccontarli.
Già nel titolo del suo lavoro, 0°a 5000 mt., Beba Stoppani ci annuncia che il suo è un grido di dolore di fronte al dramma dello scioglimento dei ghiacciai, per l’esattezza quello del Rodano (Svizzera). L’autrice si trovava lì, ai piedi di questo ghiacciaio, quando l’ondata di calore “anomala” del luglio 2015, raggiunte le Alpi, lo faceva sciogliere come un “ghiacciolo nelle mani di un bambino” – così lei stessa racconta con scoramento. I dati geologici parlano chiaro e sono incontrovertibili: dal 1850 il ghiacciaio del Rodano è diminuito di oltre 3 chilometri. Nelle tre settimane di canicola del luglio 2015 è arretrato di ben 6 metri. Ma un conto è venirne informati, tutt’altra cosa vedere tale disastro sotto gli occhi, partecipare emotivamente al declino e alla sofferenza di questo gelido gigante, come riesce a fare Beba Stoppani. Lei non si limita infatti a documentare la tristezza e al contempo la grandiosità del ghiacciaio, ricoperto di teli riflettenti in un inane combattimento contro il sole e il riscaldamento planetario. Ma lo vede, e ce lo fa sentire, come l’esito simbolico e pregnante del nostro comportamento folle nei confronti di una natura che pure ci nutre e di cui facciamo parte. Lo osserva, quasi fosse un malato grave, con uno sguardo impotente, carico di pietas. Lo sguardo di chi assiste amorevolmente un sofferente, cui si dovrebbero prestare subito cure appropriate. Così il ghiacciaio – riparato sotto teli che ne lasciano scoperte alcune parti, simili a membra consunte – rivela ancor di più il suo declino, la sua scoraggiante vulnerabilità. Sembra una “persona”, a cui si vorrebbe, in un gesto d’amore, restituire anche la forza perduta, la dignità e la sua storia. Beba Stoppani (discendente del grande geologo/naturista/scrittore Antonio Stoppani, autore di Il Bel Paese, e antesignano osservatore dell’impatto umano sull’ambiente) ha nutrito le sue memorie private e famigliari con le visite proprio a questo ghiacciaio. E ora non può guardarlo con atteggiamento freddamente documentario. Così – oltre a proporre una serie d’immagini cariche di empatia – entra anche nel tunnel di ghiaccio blu che, per la gioia dei visitatori, viene scavato ogni anno alla base del ghiacciaio: s’immerge e ci immerge nella magia dei ghiacci che paiono trasformarsi in luminosi paesaggi lunari, in spazi aperti verso l’infinito. Ma come fare per restituire la memoria dell’antica possanza di questo ghiacciaio? La risposta la trova in una serie d’immagini d’epoca che ne testimoniano la trascorsa grandiosità. Immagini che lei stampa su una fragile e preziosa carta tradizionale coreana, come a indicare che la memoria è tenace ma anche pronta a svanire in un soffio, sommersa dall’oblio e dal tempo che scorre.