Bosco di San Francesco (Assisi)
testo di Ilari Valbonesi
Il Bosco di San Francesco è una serie di fotografie scattate da Beba Stoppani tra il 2010 e il 2012 all’“Eremo delle Carceri”, un antico romitorio posto su una delle cime del Monte Subasio. a pochi chilometri da Assisi, dove tra querce e lecci, San Francesco e i suoi compagni si “carceravano” in preghiera.
E’ un luogo sacro che da sempre suscita venerazione, segnato dall’ordine simbolico dell’eremo, ma nello stesso tempo impossibile da governare. Luogo magmatico per sua costituzione dove ogni territorialità sprofonda in natura: ossa, bacche, battiti animali, funghi, memoria vivente e perduta, tutto partecipa alla decomposizione della materia organica che si fa humus e alimenta la terra.
Nel bosco di San Francesco dunque nessun riparo. Solo qualche rifugio di cannucce e fango, o qualche anfratto fra le rocce, dove l’essere umano spoglia [ekénōsen] se stesso, e povero e indifeso come Francesco, si rannicchia nell’ombra, inchinandosi di fronte alla bellezza del creato come la fronda di un albero. Beati i poveri di spirito. Perché l’umiltà è una virtù propria della terra e di qualsiasi percorso ascetico dove il soggetto si curva verso l’altro.
“Il Bosco di San Francesco” non è solo un cammino spirituale alla scoperta di una natura sempre fonte di meraviglia nelle sue pieghe nascoste e nella sua composita integrità; è anche il manifestarsi di una vera e propria spoliazione dello sguardo estetico: un “sacro ritiro” che caratterizza anche il fare artistico e il venire alla luce dell’esperienza sensibile in generale.
Scatto dopo scatto, Beba Stoppani trascende progressivamente gli aspetti più mimetici del bosco per isolare la visione, tessere trasparenze, intrecciare matasse, sciogliere atmosfere di luce, rintracciare forme estatiche, disegnare figure mandaliche, cogliere l’arborescenza nella sua fase attuale, in un costante rimando tra interno ed esterno.
Il bosco con i suoi alberi arbusti ed erbe trabocca così verso l’alto e verso il basso, dissolvendosi nell’intricato vissuto interiore, e costringendo l’osservatore a immergersi nella contemplazione, non potendo più isolare e controllare l’insieme in un centro compositivo della materia resa completamente ottica. Nel bosco ci si addentra camminando. In questo senso l’esperienza della fotografia è assimilabile a quella sacrale del bosco: si è continuamente distratti e assorbiti da rumori improvvisi mentre l’ombra disegna strane e mutevoli figure e la visione ci coglie con i caratteri dell’inaspettato. Il dispositivo d’attenzione – il taglio fotografico – focalizza e seziona il tratto di paesaggio sul quale si punta la macchina e nello stesso tempo eccede il suo atto di “segregazione”. In questa dialettica l’immagine dispiega il suo spazio etico: tempio a cielo aperto, in essa conviene una pluralità interspecifica di sguardi e prospettive.